Ho uno strano legame con i treni e le stazioni. Non so, hanno un qualcosa di romantico. Sanno di incontri, di solitudini, di attese e di destinazioni chissà per dove. Mi piacciono le linee che costeggiano il mare, quelle che attraversano piccoli paesi e quelle che tagliano in due grandi distese rurali. Mi piace la generosità delle ferrovie, perché anche se dismesse continuano a proporti sotto altre forme quel vizio primordiale che è il viaggio.
È proprio di queste ferrovie dismesse che voglio scrivere e di come stiano trovando una nuova vita come greenways. Il dottor Roberto Rovelli, che si occupa di Pianificazione e progettazione del territorio alla Facoltà di Agraria dell'Università statale di Milano, mi ha aperto gli occhi su un patrimonio nascosto: "In Italia ci sono circa settemila chilometri di rete ferroviaria abbandonata. Una ricchezza storica, culturale e ambientale non valorizzata che darebbe un impulso importante alla mobilità dolce e sostenibile". Rovelli è anche referente per le ferrovie dell'Associazione Italiana Greenways, dal 1998 attiva nel recupero di reti ferroviarie dismesse, parchi fluviali e strade rurali.

Ma cosa sono le greenways? Il concetto come lo conosciamo oggi si è sviluppato principalmente negli Stati Uniti nella seconda metà del XX secolo, sulle idee dell’architetto Frederick Law Olmsted. Il suo contributo più significativo fu la progettazione di parchi urbani e sistemi di parchi interconnessi, che anticiparono il concetto moderno di ‘vie verdi’. Olmsted credeva che gli spazi naturali nelle città fossero essenziali per la salute pubblica e il benessere sociale. La sua visione era quella di creare corridoi che collegassero parchi e aree naturali, fornendo opportunità ricreative per i residenti urbani. Uno dei suoi progetti più importanti di fine Ottocento è stato l’Emerald Necklace, che tradotto suona come La collana di smeraldi, una catena di 1.100 acri di parchi collegati a Boston e Brookline, nel Massachusetts.

Arriviamo quindi al 1995, quando l’architetto inglese Tom Turner definisce la greenway come un percorso piacevole dal punto di vista ambientale, spiegazione azzeccata ma che deve andare oltre a quella di semplice pista ciclopedonale.1
Rovelli mi spiega che dei 7.000 chilometri di linee abbandonate, 1.100 chilometri sono stati dismessi per la creazioni di varianti di tracciato, 400 chilometri non hanno mai avuto il privilegio di far transitare un treno e i restanti sono stati abbandonati per i motivi più vari: l’obsolescenza delle rotaie non più adatte ai treni veloci, lo sviluppo dell’industria automobilistica (tra il 1950 e il 1959 furono soppressi quasi 1.200 km di ferrovie), la diminuzione degli passeggeri, la presenza di fermate in aree rurali lontane dai centri abitati.

È curioso sapere che alcune linee ferroviarie non sono mai state utilizzate, soprattutto in Sicilia, dove furono commissionate dal regime fascista solo con l'intento di creare occupazione. Successivamente, durante il periodo coloniale, l'Italia trasferì molte locomotive in Etiopia per ostentare la potenza del paese, privando così l'isola di gran parte del suo materiale rotabile.
Ma il fenomeno non è limitato all'isola. Anche in Friuli si trovano esempi simili, dove alcune tratte furono costruite per scopi militari, poi abbandonate a causa dei frequenti cambiamenti dei confini nella regione.

In Italia, si contano circa mille chilometri di ferrovia riconvertiti, i cosiddetti rail-trails, cioè le greenways realizzate recuperando i tracciati delle ferrovie in disuso. Un numero non trascurabile se si considera la lentezza burocratica.
Altri paesi europei hanno fatto meglio: Spagna2, Francia, Germania, Belgio e Portogallo, ad esempio, hanno ottenuto risultati superiori. Rovelli mi chiarisce che questo ritardo è principalmente dovuto alla mancanza di una cabina di regia. In Italia, la progettazione è principalmente affidata all'associazionismo oppure a enti locali, che devono fare affidamento su bandi europei o regionali per ottenere finanziamenti, che in vent'anni sono stati sporadici.
Ma le sfide non finiscono qui. Rovelli mi evidenzia due criticità importanti: "Esauriti i fondi iniziali, spesso le strutture rimangono incomplete o prive di adeguata manutenzione. Questo approccio e la mancanza di un organismo centrale compromette la continuità e l'efficacia dei progetti di riqualificazione. Inoltre, Rete ferroviaria italiana (RFI) tende a vendere tratti di linee dismesse, frammentandole e impedendo la creazione di rail trails di un certo chilometraggio".
“Il recupero non è semplice. Come Associazione Italiana Greenways eseguiamo censimenti e mappature dei tratti abbandonati oltre a raccogliere questionari per valutare l’utilità di un recupero. Questo permette di avere un quadro generale e di dirottare gli investimenti in riusi capaci di attirare utenti in luoghi appetibili dal punto di vista ambientale, culturale e storico”. Nonostante queste difficoltà, il potenziale delle greenways è enorme. Se ben progettate e sostenute, possono dare un impulso importante alle piccole realtà economiche locali: agriturismi, associazioni culturali, aziende agricole, locande.
La riqualificazione interessa anche i caselli e gli immobili annessi, concessi da RFI in comodato d'uso gratuito, che possono contribuire allo sviluppo turistico di queste linee. Si legge sul sito: “A dicembre 2023 risultano vigenti 1.549 contratti di comodato, con i quali abbiamo messo a disposizione del sociale circa 2.986.324 mq, di cui circa 162.344 mq riferiti a fabbricati di stazione e circa 2.823.980 mq riferiti a terreni – questi includono anche parcheggi a servizio della cittadinanza e della clientela ferroviaria”.
E in effetti, alcune regioni italiane hanno già colto questa opportunità, trasformando vecchie ferrovie in splendide greenways che stanno riscuotendo un grande successo.
In Lombardia, la Greenway della Valtellina è un vero gioiello. Si snoda per oltre 114 chilometri lungo il corso del fiume Adda, da Colico a Bormio, seguendo il tracciato della vecchia ferrovia. È un percorso che attraversa paesaggi mozzafiato, tra vigneti terrazzati e antichi borghi. Una greenway che non è solo un'attrazione turistica, ma una via di comunicazione utilizzata dai valtellinesi per spostarsi tra i vari paesi.
In Liguria, la Pista Ciclabile del Ponente Ligure, conosciuta anche come Parco Costiero del Ponente Ligure, è un altro esempio straordinario. Questo percorso di 24 chilometri segue l'antica linea ferroviaria tra Ospedaletti e San Lorenzo al Mare.
Sulla ex ferrovia Trieste-Erpelle, dismessa nel 1958, dal 2010 è stata realizzata una ciclopedonale che da Trieste va oltre Draga Sant’Elia. È stata intitolata alla memoria di Giordano Cottur, ciclista professionista triestino dal 1938 al 950, tre volte terzo al Giro d’Italia alle spalle di Fausto Coppi e Fiorenzo Magni.

Più a sud, in Umbria, c’è la Greenway del Nera, un esempio di come questi progetti possano rivitalizzare aree interne meno conosciute. Questo percorso di 35 chilometri collega Terni a Narni, seguendo il corso del fiume Nera e l'antica Via Flaminia.
Rovelli insiste che non basta una striscia di asfalto per creare una vera greenway, ma è importante assicurare sulla tratta una serie di servizi per gli utenti come punti di ristoro, segnaletica, piantumazione di alberi, ciclofficine.

Lo sviluppo di attività collaterali come piccoli musei, mercatini artigianali o di prodotti agricoli locali, magari sfruttando i comodati di uso gratuito dei caselli, renderebbe i tratti più appetibili e le passeggiate in bicicletta o a piedi veri e propri viaggi.
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Conclude Rovelli: “Gilbert Perrin, un signore belga appassionato di mobilità dolce che incontravo spesso ai convegni sosteneva un'idea interessante: se queste linee venissero trasformate in greenways, le vecchie stazioni potrebbero ritrovare la loro funzione originaria, cioè tornerebbero a essere luoghi dedicati a segnare una pausa durante il viaggio”.
La Dichiarazione di Lille (2000), sottoscritta dalle principali associazioni europee che operano sulla tematica, precisa che le greenways "devono avere caratteristiche di larghezza, pendenza e pavimentazione tali da garantirne un utilizzo promiscuo in condizioni di sicurezza da parte di tutte le tipologie di utenti in qualunque condizione fisica. Al riguardo, il riutilizzo delle alzaie dei canali e delle linee ferroviarie abbandonate costituisce lo strumento privilegiato per lo sviluppo delle greenways".
In tale contesto, l'idea di greenway va oltre quella di un semplice pista ciclabile (con cui spesso viene confusa), investendo aspetti più strutturali, come la valorizzazione e la riqualificazione delle risorse naturali, la promozione di uno sviluppo sostenibile, il recupero dei paesaggi degradati e lo sviluppo armonico delle città, e rivolgendosi non solo ai ciclisti ma a tutti gli utenti non motorizzati. (Fonte www.greenways.it)
In Europa, l’esperienza più importante e significativa, sotto tutti i punti di vista, è sen- z’altro quella spagnola. Innanzitutto perché le stesse compagnie ferroviarie hanno dato vita ad un programma nazionale di recupero, denominato Vías Verdes, coordi- nato dalla Fundacíon de los Ferrocarriles Españoles. In secondo luogo per i numeri di questo recupero: dei 7.600 km di linee dismesse ne è stato ad oggi recuperato più di un terzo (125 greenways, per un totale di 2.800 km), con 110 stazioni risistemate. (Fonte: ATLANTE DELLE GREENWAYS SU LINEE FS - Dal disuso al riuso).