"Quel giorno in cui mi sono detta: sarà il mio corpo per sempre"
Lo sport, i successi, le sfide e i sogni di una donna che ha cambiato il modo di raccontare la disabilità.
Martina Caironi ha gli occhi azzurri e grandi. Sì, ha anche una protesi, ma ci fai caso solo all’inizio, perché quando inizia a raccontare la sua personalità ti travolge e la disabilità passa in secondo piano. Martina corre (veloce), salta (lontano), la vedi sfrecciare per le strade di Bergamo con il monopattino. Si avventura su ferrate, danza avvolta dai tessuti aerei e va veloce sui pattini in linea.
Martina è un’atleta paralitica. Nella sua carriera sportiva, iniziata nel 2010, ha incassato due medaglie d’oro e tre d’argento ai Giochi paralimpici, sei titoli mondiali, sei titoli europei. Più un record del mondo nel salto in lungo, un 5,46 metri che resiste dal 2022.
Nel mondo paralimpico Martina ci arriva nel 2007, a seguito di un incidente in motorino che le costò l'amputazione della gamba sinistra. “I primi anni sono stati dedicati alla riabilitazione, alla ripresa della vita normale. Però, essendo stata sempre sportiva, ad un certo punto ho avuto l'esigenza di un'attività e ho iniziato quindi con il nuoto. Non conoscevo il mondo paralimpico e, fino all’incidente, se pensavo un amputato l’immagine era quella di un mendicante”.
La svolta arriva al Centro protesi Vigorso di Budrio, dove Martina rimane colpita dai poster raffiguranti atleti paralimpici. "Mi ero soffermata a osservare il gesto atletico di Stefano Lippi1, braccia aperte e gambe divaricate. Ho subito chiesto di avere una protesi simile, che però già allora costava circa 5 mila euro. Me la diedero gratuitamente, scommettendo su di me visto che non c’erano ancora atlete paralimpiche della mia categoria”2.
Poi l’incontro con Mario Poletti, allenatore bergamasco di Villa d’Ogna, che la coinvolge nello sport paralimpico con il getto del peso. “All’inizio mi sentivo un pesce fuor d’acqua perché non ero abituata a vedere tanta disabilità. Però era un’esperienza nuova e mi ci sono buttata. A maggio di quell’anno ho fatto la classificazione internazionale (quella che stabilisce il grado di disabilità) e ho avuto la prima protesi. La prima gara è stata nel 2010 a Imola nei 100 metri piani e nonostante la leggerezza con cui l’ho affrontata vinco e stabilisco il record italiano. Il primo, perché non c’erano ancora riferimenti cronometrici della mia classificazione. In quegli anni tutto era organizzato in modo amatoriale: nelle prime trasferte ci alloggiavano in scuole, asili, dormivamo per terra. Era un’avventura. Ora è diverso, è tutto molto più strutturato. Sono comunque grata per quelle esperienze, perché do più valore ai privilegi attuali.
“I primi anni hai bisogno di parlare della tua condizione e questi confronti mi hanno aiutata a sciogliere il groviglio fatto di dolore e cambiamenti”.
Tra le sfide più difficili che Martina ha dovuto affrontare c’è sicuramente il percorso di protesizzazione. “In pratica il moncone della mia gamba è inserito in una cuffia, che a sua volta va in una specie di invaso. Devi fartene una ragione, perché sarà così per tutta la vita. Cioè, non avrai mai più una gamba libera, all’aria aperta, ma sempre dentro questi contenitori. Le prime protesi ero grosse, dure, mi creavano un sacco di problemi a camminare e a correre. Non c’erano evidenze scientifiche, era tutto uno sperimentare. Però avevo vent’anni ed ero piena di entusiasmo, anche perché, nonostante i disturbi fisici, la protesi mi permetteva di ritornare a percepire quella sensazione di rimbalzo che avevo perso dopo l’amputazione.
L’altra sfida non meno impegnativa è stata accettarsi. “Il mio corpo è cambiato il giorno dell’incidente. Avevo 18 anni, un’età in cui i ragazzi sono interessati più all’aspetto fisico che alla tua personalità. All’inizio è stato scioccante, dovevo adattarmi a qualcosa di nuovo. Sono sempre stata attenta al mio corpo: mi lamentavo per i peli sulle gambe oppure per la pancetta e poi mi arriva da gestire qualcosa di più grande. Quando sono tornata a casa dall’ospedale e mi sono guardata allo specchio mi sono detta: questo è il corpo che avrò sempre”.
“Con i ragazzi si era creata una sorta di selezione all’ingresso. Chi si spaventava per la mia disabilità non provava neppure ad avvicinarsi. All’inizio mi mettevo i pantaloni larghi, ma quando arriva il momento di entrare in intimità era impossibile nascondere la protesi! ” L’insicurezza Martina la supera durante gli anni dell’università, tra il 2011 e il 2012, quando va in Spagna con il Progetto Erasmus. “A Madrid ho comprato il mio primo vestitino. L’ho tenuto nell’armadio per parecchio tempo prima di indossarlo in occasione di una gita a Siviglia, dove non è successo niente. Ho capito che il nascondermi era solo un problema mio. Una volta svelato il segreto, agli altri non importava nulla della mia protesi”.
“Ho imparato a non avere paura ad utilizzare il mio corpo anche per situazioni estreme. Considero la mia gamba amputata come la mia bambina. Mattina e sera le metto una crema per evitare lesioni. È una creatura delicata che sottopongono a sforzi intensi e alla sera la premio con un bacino di ringraziamento. Un modo per dire a me stessa che sono stata brava, nonostante la disabilità”.
Sfida è stata anche quella di imparare ad affrontare gli sguardi degli altri. "Nei giorni in cui sono nervosa, se qualcuno mi fissa, ricambio lo sguardo o mi metto a cantare ad alta voce. All'inizio queste occhiate mi ferivano, perché mi sentivo in dovere di giustificare la mia condizione. Occorre educare le persone alla disabilità. Devo dire che lo sport mi ha aiutata: ora non dico più sono un’amputata, ma sono un’atleta paralimpica. La mia disabilità per me è un orgoglio e lo sport mi ha dato una botta di autostima perché allena a superare tutti i limiti. Anche quelli mentali”.
Quando le chiedo se si sente una pioniera dello sport paralimpico risponde: “Alex Zanardi e Bebe Vio sono stati i veri pionieri del movimento paralimpico. Soprattutto Zanardi, che dopo l’ultimo grave incidente ci ha lasciato un grande vuoto. Manca la sua saggezza. Io mi considero tale nella sperimentazione delle protesi, nella rappresentazione degli atleti a livello internazionale, nei record segnati e per le tante medaglie vinte. Quando diventi famosa le persone iniziano anche ad ascoltare quello che dici e questo mi ha permesso di dare visibilità al mondo paralimpico che negli ultimi anni è cresciuto grazie anche ai social”. Martina si sta impegnando molto per il movimento paralimpico, come rappresentante degli atleti nel International Paralympic Committee : "Si potrebbe fare di più. Ad esempio, dando la possibilità agli atleti di avere un percorso professionale nei corpi militari, formando coach e tecnici specializzati sulle diverse disabilità, realizzando impianti accessibili e creando un percorso di avvicinamento al post carriera sportiva".
"Un altro tema importante è quello delle protesi. È assurdo che siano gratuite solo per atleti che hanno già dimostrato il loro talento e ottenuto risultati importanti. Fortunatamente, esistono enti privati come la Bebe Vio Academy che si impegnano a fornire protesi a chi vuole iniziare un percorso sportivo. A mio avviso, però, questa iniziativa dovrebbe partire dalle federazioni."
Con i Giochi paralimpici di Parigi (28 agosto - 8 settembre) Martina chiuderà la sua carriera da atleta professionista. “Tutto ha un inizio e una fine e devi solo accettarlo. Dopo le Paralimpiadi di Tokyo 2020 ho maturato la volontà di smettere. Mi sentivo appagata ma ancora non sufficientemente satura per scrivere la parola fine. Diciamo che volevo fare ancora qualcosa, giusto per non avere rimpianti. Ora mi sento pronta per fare altro. Certo, mi mancheranno le emozioni, ma non la fatica, la routine che la vita da atleta professionista impone, le rinunce. Negli ultimi anni il mio fisico ha iniziato a lanciarmi messaggi inquietanti, soprattutto dolori alla schiena che mi impediscono di vivere serenamente la quotidianità. Ora voglio iniziare ad ascoltare il mio corpo. Lo so, è un salto nel buio, ma sono fiduciosa perché ogni sfida all’incognito mi ha sempre portato a qualcosa. Quelli di Parigi saranno quindi i miei ultimi Giochi paralimpici da atleta, ma spero di continuare a viverli con altri ruoli e soprattuto di vederli dalla tribuna!
Guardando al passato, Martina riflette: "Se potessi tornare indietro cosa cambierei? Forse prenderei la carriera sportiva con più serietà. Questo mio atteggiamento mi ha però permesso di sopravvivere a quella situazione che capita a molti atleti, cioè di essere ossessionata dai risultati. In generale, sono soddisfatta perché sono cresciuta e questo è il senso di tutto".
Stefano Lippi ha subito l’amputazione della gamba dopo essere stato investito da un auto. Oltre a titoli mondiali ed europei, è stato medaglia d’argento nel salto in lungo ai Giochi paralimpici di Atene del 2004 (Fonte Wikipedia).
Prima T42, pra T63. Le classificazioni funzionali : danno la possibilità a tutti gli atleti di confrontarsi con avversari di pari livello. Si differenziano in base alla patologia, al grado di disabilità e alle funzionalità fisiche dell’atleta. Sono stabilite dall’IPC, l’International Paralympic Committee