Phurbi Chyachu: leggeri sulle orme dei Giapponesi
Rosa Morotti e Tito Arosio firmano la prima ripetizione in stile alpino sulla montagna himalayana quarant'anni dopo la storica ascensione.
“Cercavamo una cima himalyana per vivere un'avventura lontano dalle folle, da realizzare con uno stile pulito, leggero. Dopo molte ricerche, abbiamo scelto il Phurbi Chyachu1", racconta Rosa Morotti, descrivendo l'ultima impresa realizzata con Tito Arosio”.
Il 30 ottobre, i due compagni di cordata hanno realizzato la prima ripetizione in stile alpino2 della Via dei Giapponesi, un battesimo in terra nepalese per Tito, un ritorno a un luogo del cuore per la forte alpinista bergamasca.

"La spedizione", racconta Rosa, "è nata da un'idea di Tito, che in Nepal non c'era mai stato, con l'obiettivo di salire su una montagna non troppo alta per aprire una via nuova. Ho accettato perché il Nepal ce l'ho nel cuore, è il luogo in cui è morto mio marito Sergio Della Longa3. È stata un'occasione per ritornaci dopo tanto tempo. Tito lo conosco da più di dieci anni, insieme abbiamo scalato pareti importanti sulle Alpi e compiuto diverse spedizioni. Lo conosco bene come persona e so come si muove in montagna. Ci fidiamo l'un l'altro e soprattutto ci accumuna lo stile naturale alpino. Nonostante i ventun anni di differenza tra noi c'è una grande affinità e sono sempre contenta di condividere con lui le mie esperienze in montagna".
Perché proprio il Phurbi Chyachu? “Cercavamo una montagna poco attrattiva e in Nepal ci sono molte vallate con montagne più basse degli ottomila metri ancora inviolate. Sfogliando American Alpin Journal, ci avevano incuriosito due imprese realizzate nella valle dello Jugal Himal, dove appunto si trova il Phurbi Chyachu. La prima è stata l’ascensione in stile alpino sulla parete nord della Jugal Spire e l’apertura della via The Phantom da parte di Tim Miller e Paul Ramsden, nel 2022, per la quale hanno vinto il Piolet d’Or . La seconda, del 2023, il tentativo di una spedizione spagnola di raggiungere la vetta del Phurbi Chyachu, poi fallita per le cattive condizioni climatiche. Le foto di queste imprese ci avevano colpito e dopo aver individuato una nuova via interessante sulla parete sud-ovest ci siamo posti due obiettivi: aprirla o, se non fosse stato possibile, ripetere la Via dei Giapponesi in stile alpino”.
“Alla fine, abbiamo optato per questa soluzione, perché la prima presentava rischi troppo alti, utilizzando una variante di attacco di 300 metri più impegnativa per l’impossibilità di percorrere quella originaria a causa del cambiamento del ghiacciaio”.
La storia di questa via è profondamente legata alla scuola di alpinismo giapponese che l’aveva individuata già alla fine degli anni Cinquanta. La prima ascensione fu invece portata a termine nel 1981 in stile himalyano. La spedizione era composta da sedici alpinisti giapponesi e due guide nepalesi, che per arrivare in cima utilizzarono 2.000 metri di corde fisse, 60 chiodi da ghiaccio, 60 chiodi da roccia e 120 picchetti da neve.
“Noi abbiamo invece scelto di portarci sulle spalle tutto quello che ci poteva servire per arrivare al punto più alto in autosufficienza, in tutto abbiamo utilizzato 3 friend, 10 nuts e 4 viti. E comunque, del materiale utilizzato dalla spedizione giapponese noi abbiamo trovato solo un chiodo”.
La coppia ha così affrontato la via con difficoltà tecniche fino a M5 e pendenze di 80°. Rosa racconta di un’ascesa non priva di difficoltà, con passaggi molto tecnici, neve troppo morbida alternata a rocce. “Arrivati quota 6.300, Tito ha però iniziato a sentirsi molto affaticato, respirava con difficoltà, per cui il giorno previsto per attaccare la cima ha deciso di rinunciare. Io, al contrario, stavo bene, la quota non mi dà mai problemi e guardando il pendio finale ho capito che le difficoltà erano alla mia portata. Ero determinata e concentrata sul mio obiettivo, non avevo paura di affrontare gli ultimi metri da sola. Sono riuscita a tenere un buon ritmo senza affanno, così sono arrivata senza alcun problema al ghiacciaio sommitale (6.550 m). La cima era solo 70 metri più in alto ma distante oltre un chilometro, con terreno pianeggiante coperto neve alta e molle. Quindi mi sono detta: la Via dei Giapponesi in stile alpino è stata ripetuta, ora preferisco scendere e abbassarci, pensando a Tito e alla discesa lunga e tecnica che ci aspettava”.

Nonostante la decisione di non proseguire fino alla vetta, il momento resta carico di significato per Rosa. “Sul plateau mi sono emozionata ed è scesa anche qualche lacrima. Cerco sempre di godermi queste sensazioni per quel tempo breve che si ha disposizione quando si raggiunge l’obiettivo. Mi dispiace solo non aver condiviso gli ultimi 300 metri con il mio compagno di cordata, soprattutto dopo il grande lavoro fatto assieme durante la preparazione e la spedizione”.
Ciò che sempre affascina di Rosa è quella voglia di continuare a esplorare montagne che non sempre sono state generose con lei, perché sulle pareti ha perso, oltre a famigliari e amici, due compagni di vita. “Sergio è stato mio mentore, mi ha fatto scoprire l’alpinismo e mi ha insegnato le tecniche di scalata. Con Norbert Joos4 ho avuto la fortuna di perfezionarle sulle montagne di tutto il mondo. Scalando è come se portassi avanti quel fil rouge che ancora lega noi tre: l’amore e il rispetto per la montagna, che continua a essere una parte importante della mia vita”.
“Alla fine della spedizione ho sempre il desiderio di tornare a casa per riabbracciare la mia famiglia, vedere gli amici più cari e godermi un periodo di pausa per rigenerarmi e pensare al prossimo viaggio”.
Mentre Rosa già pensa alla prossima avventura in quota, questa salita rimane una testimonianza di come lo stile alpino puro possa ancora trovare spazio sulle imponenti pareti himalayane, lontano dalle rotte più battute degli ottomila.
Phurbi Chyachu (6.637m) conosciuta anche come Phurbi Chhyachu and Purbi Gyachu, appartiene al gruppo montuoso poco conosciuto dello Jugal Himal, situato nella regione del Langtang, in Nepal, a nord-est di Kathmandu, al confine tra Tibet e Cina.
Lo stile alpino prevede l'autosufficienza degli alpinisti: senza l'ausilio di campi intermedi, corde fisse, portatori, ossigeno. Pare che il termine fu coniato da Hermann Buhl e Kurt Diemberger durante l’ascensione del Broad Peak quando, non avendo portatori, decisero di salire come se fosse stata una spedizione sulle Alpi Occidentali (da cui il nome dello stile), cioè senza aiuti umani e tecnici esterno e senza ossigeno.
La prima salita in stile alpino di un 8.000 fu realizzata nel 1975 sul Gasherbrum I da Reinhold Messner e Peter Habeler. Si contrappone allo stile himalayano che prevede invece campi intermedi, portatori corde fisse e bombole di ossigeno.
Sergio Della Longa è morto nel 2007 mentre era impegnato nella scalata del Dhaulagiri.
Norbert ‘Noppa’ Joos ha perso la vita nel 2016 a 55 anni mentre scendeva dal Bernina con due clienti italiani.
Grazie. Hai raccontato un bel capitolo di una bella storia